Eco Socialismo

terra ambiente climaIn questi anni mi sono sempre più appassionato al legame fra società, ambiente ed economia. In particolar modo a come la comunicazione, la politica e le imprese siano in realtà molto distanti da ciò che è necessario per affrontare e possibilmente risolvere i temi ambientali del nostro pianeta. Veniamo, infatti, generalmente resi colpevoli ma non consapevoli del fatto che questo modello macroeconomico non e’ in grado di risolvere il problema. Siamo continuamente invitati a sfruttare incentivi, a cambiare i nostri impianti per consumare di meno, a caricarci moralmente dell’impronta ecologica che lasciamo ai nostri figli. Ma noi cittadini consumiamo solo il 15-20% delle risorse mentre l’economia verde cresce, le imprese continuano a consumare come prima (basta ad esempio acquistare un certificato verde) e a preferire i robot alle persone, diminuendo solo i costi del lavoro, non quelli dei consumi e delle risorse, creando disoccupazione…
In particolare mi sono appassionato all’eco-socialismo, non tanto perché ne abbracci a pieno il pensiero (nella traduzione che segue ho cercato di inserire qualche distinguo dall’autore), quanto perché sono convinto che la decrescita felice non sia un modello perseguibile. L’attuale macroeconomia deve il suo successo alla natura intima dell’uomo che ci costringe ad affermarci nella società in base a quello che possediamo e non quello che siamo. Non vedo quindi nella semplice volontà di consumare meno, come suggerito da una felice decrescita, una possibile soluzione. Serve un modello sociale diverso in cui probabilmente per un pianeta con 10-12 miliardi di persone, globalizzato, un modello socialista potrà trovare il suo spazio.
Informandomi, mi e’ capitato sotto mano questo articolo recente di Daniel Tanuro, autore che seguo da tempo, molto radicale e forte nelle sue affermazioni. Sicuramente capace sia di mettere in luce gli aspetti storici e culturali di una critica al socialismo reale, che proporre le basi di alcuni concetti con i quali dovremmo fare i conti nel futuro e a cui solo un modello –  sociale ed economico – diverso può dare risposte.
Mi scuso per qualche errore di traduzione, anche dovute alla mia limitata conoscenza della storia socialista e dei suoi termini. Le mie personali annotazioni sono indicate con ndt.

Domenica 3 Maggio 2015, Daniel Tanuro, un ambientalista agricoltore ed eco-socialista, scrive per “La gauche” (il mensile della LCR-SAP, sezione belga della Quarta Internazionale). Tradotto da http://www.internationalviewpoint.org/spip.php?article4013

Le fondamenta del rivoluzionario eco-socialismo

Il concetto di eco-socialismo si basa su due osservazioni paradossali fra loro: la soluzione alla “crisi ecologica” causata dal modo di produzione capitalistico che richiede una risposta di tipo socialista, contrapposta al catastrofico bilancio ambientale del “socialismo reale”. Kamp_obenSvilupperò brevemente questi due elementi, per poi presentare alcuni fondamenti dell’eco-socialismo come aggiornamento di quanto concepito all’interno della “Rete Internazionale Eco-socialista” [http://ecosocialistnetwork.org]. Spero di dimostrare che l’eco-socialismo è qualcosa di più di una nuova etichetta su una vecchia bottiglia: una necessaria alternativa adeguata alle sfide del nostro tempo. [Il testo si basa su una comunicazione nel contesto del week-end di mobilitazione sul clima organizzato il 10-12 aprile 2015 a Colonia dal Rosa Luxemburg Stiftung, in collaborazione con una serie di associazioni ecologiste tedeschi. http://kampfumsklima.org/?lang=en]

Per gli eco-socialisti, la “crisi ecologica” non è una crisi dell’ecologia. Non è la natura che è in crisi, ma la società, e questa crisi della società genera un crollo delle relazioni tra l’umanità e il resto della natura. A nostro avviso, questa crisi non è dovuta alla specie umana come tale. In particolare, non deriva dal fatto che le nostre classi sociali traggono la propria esistenza dal lavoro, che consente di sviluppare e dare contenuto alla definizione di progresso. È, invece, a causa del modello di sviluppo capitalistico, per il modo di produzione del capitalismo (che include un sistema capitalistico dei consumi) e dell’ideologia produttivista e consumista del “sempre di più”.

  • Capitalismo = Produttivismo

Il capitalismo non produce quei valori utili per soddisfare dei bisogni dell’uomo, bensì quei valori di scambio necessari per massimizzare il profitto. Questo profitto è monopolio di una frazione minoritaria della popolazione: i proprietari dei mezzi di produzione. Essi sfruttano la forza lavoro delle maggioranze sociali in cambio di un salario che è inferiore al valore del lavoro fornito.

capitalismo-4-446x500Questi proprietari dei mezzi di produzione e dei salari portano avanti una guerra spietata attraverso la concorrenza che li costringe a cercare in modo permanente mezzi per aumentare la produttività del lavoro attraverso il ricorso alle macchine e il loro perfezionamento. Il’”produttivismo” (produrre al fine di produrre, che comporta consumo, al fine di consumare) è dunque una caratteristica congenita del capitalismo. Il capitalismo implica accumulazione. L’economista borghese Joseph Schumpeter, lo ha espresso scempiamente: “un capitalismo senza crescita è una contraddizione in termini“.

Il capitalismo è un sistema molto efficace di sfruttamento. Esso migliora costantemente la produttività del lavoro e l’efficienza nell’uso delle risorse naturali (di altri). Ma questo miglioramento è ovviamente al servizio dell’accumulazione: il risparmio di forza lavoro e materiali sono più che compensati dall’aumento assoluto del volume di produzione in modo che si ha un aumento delle risorse da utilizzare nel processo. Ecco perché, inevitabilmente, l’accumulazione capitalista comporta contemporaneamente il maggiore sfruttamento del lavoro umano e il crescente saccheggio delle risorse naturali.

Quali sono i limiti della crescita capitalista? A questa domanda, Marx ha risposto che “l’unico limite al capitale è il capitale stesso“. La formula si basa sulla definizione di capitale, non come una cosa (un certo ammontare di denaro), ma come un rapporto sociale: il rapporto di sfruttamento definito dalla quantità di denaro che si trasforma in più denaro grazie all’estorsione del plusvalore corrispondente al lavoro non retribuito. Questo rapporto di sfruttamento richiede ovviamente un ingresso sotto forma di risorse [La natura mette le risorse liberamente a disposizione del capitalista, il che spiega l’appetito della capitale per lo sfruttamento delle miniere, foreste naturali o riserve ittiche, soprattutto in un periodo di recessione, quando ciò che è noto come “estrattivismo” attira capitali in cerca di superprofitti]. Dicendo che “l’unico limite al capitale è il capitale stesso” quindi si intende semplicemente che, essendoci solo forza-lavoro da sfruttare e risorse naturali da prendere, il capitale può continuare ad accumulare impoverendo e distruggendo quello che Marx chiamava “le due uniche fonti di ogni ricchezza: la natura e il lavoro“.

In linea generale, l’unica alternativa concepibile al capitalismo, è un sistema che non produca plusvalore per la massimizzazione del profitto dei capitalisti, ma beni e servizi necessari per soddisfare i bisogni umani reali (cioè, non corrotti da mercificazione), democraticamente determinati. Un sistema in cui la collaborazione sostituisce la concorrenza, la solidarietà sostituisce l’individualismo e l’emancipazione elimina l’alienazione. Infatti, tale sistema – più che un sistema, nuova civiltà – corrisponde alla definizione teorica di una società socialista. Lo ripeto: in termini generali, non vi è altra alternativa concepibile.

[ndt G. Roegen direbbe che “i sitemi biologici presentano una combinazione di tipo competitivo e cooperativo” il primo necessario per espandersi e prevalere sulle altre specie, il secondo quando si raggiunge l’equilibrio  che viene attuato quando le risorse scarseggiano. Un’alta analisi molto interessante su questo punto è stata fatta nel testo di Tim Jackson, in prosperità senza crescita, anche se le conclusioni che descrivono un modello macroeconomico per raggiungere la prosperità anche attraverso un modello pseudo capitalista, non mi ha convinto. Per inciso molte conclusioni comunque coincidono con alcune istanze eco-socialiste anche se portate avanti da un economista britannico decisamente non socialista]

  • Produttivismo capitalista e produttivismo burocratico

Al tempo stesso, questa conclusione si scontra con la dura realtà dei fatti storici: infatti, è indiscutibile che il bilancio del socialismo “reale” nel 20° secolo sia stato un fallimento, non solo dal punto di vista dell’emancipazione umana, ma anche dal punto di vista della creazione di una relazione armoniosa tra l’uomo e il suo ambiente naturale.

Senza entrare nei dettagli: tutti conoscono il prosciugamento del lago d’Aral e il disastro dilago-lago-dAral Chernobyl. Dal momento che questo incontro è dedicato alla lotta contro il cambiamento climatico, vorrei aggiungere che le GDR e l’ex Cecoslovacchia detengono il triste record mondiale per l’emissione di gas ad effetto serra nell’abitante: le loro “performance” sono state addirittura superiori a quelle dei più grandi inquinatori nei paesi capitalisti “sviluppati”, come Stati Uniti e Australia.

Questo bilancio ambientale negativo è stato causato principalmente alla controrivoluzione burocratica che ha trionfato nel 1920 sotto Stalin. Il produttivismo nell’est ha determinato un sistema di bonus offerti ai dirigenti delle imprese nazionalizzate per incoraggiarli a superare gli obiettivi programmati, spingendoli a utilizzare e sprecare al massimo i materiali e l’energia per unità prodotta. Essi non dovevano preoccuparsi delle conseguenze delle qualità della produzione, dal momento che i consumatori non avevano né la libertà di scelta, né la capacità di criticare, né la possibilità di opporsi agli effetti sociali e ambientali di una produzione che non era soggetta ad alcun “controllo del lavoratore”.

Dal punto di vista dei danni ecologici, non vi è alcuna differenza tra produttivismo capitalista e quello dell’ex blocco dell’est. Ma i risultati produttivismo capitalista generano meccanismi molto diversi: a differenza del direttore di una fabbrica nazionalizzata in URSS, il capo di un’impresa capitalistica ottimizza continuamente la quantità di risorse utilizzate per unità di prodotto, in modo da massimizzarcene la produzione, e ottiene dal mercato come reazione un giudizio sulla qualità dei loro prodotti.

Infatti, il produttivismo di capitale è razionale dal punto di vista del capitalismo e legato alle relazioni sociali che lo caratterizzano. D’altra parte, il produttivismo burocratico appare come una creazione puramente irrazionale della sovrastruttura politica: in una economia che dovrebbe soddisfare i bisogni, la razionalità vorrebbe che la produzione sia guidata dalla democrazia dei produttori/consumatori, che è il motivo per cui questa democrazia è incompatibile con parassitismo burocratico.

Questo confronto produce una fondamentale conclusione: il produttivismo capitalista è endogeno al modo produrre, mentre il produttivismo sovietico era esogeno. Così il disastroso bilancio ambientale dell’URSS non fornisce la prova inconfutabile che il socialismo è per definizione e inevitabilmente eco-suicida come il capitalismo.

  • Stalin non spiega tutto

Tuttavia, lo stalinismo e l’esistenza di una casta burocratica privilegiata non bastano a spiegare questo disastroso bilancio. Per inquadrare il problema, mi limito a citare uno dei più famosi avversari di Stalin, Leon Trotsky. Di tutti i teorici marxisti, Trotskij è senza dubbio quello che ha capito meglio il fenomeno burocratico, ma era appena cosciente dei limiti ambientali allo sviluppo umano, per usare un eufemismo.

trotski5_xfrmIn un famoso discorso, Trotsky ha parlato dell'”uomo socialista” che “sposterà le montagne, racchiuderà i mari e devierà i fiumi”. Non voglio esagerare il significato di questa citazione, né, soprattutto, la sua influenza sul corso degli eventi successivi. Lo prendo solo come un esempio del fatto che molti marxisti hanno avuto una prospettiva molto meno prudente e realistica di Marx sullo sviluppo delle “forze produttive capaci di liberarci dalle catene capitalisti” [L’ironia della storia è che la visione di Trotsky fu in parte applicata da Stalin, nel suo progetto di invertire il corso dei fiumi siberiani da nord a sud per irrigare l’Asia centrale].

Lungi dal fantasticare sulle favolose poteri del superuomo socialista, Marx riteneva, più modestamente, che “l’unica libertà possibile (in relazione alle leggi della natura) è che l’uomo socializzato deve regolare il proprio ricambio organico con la natura in modo razionale“. Alla luce della citazione Trotsky, sembra ovvio che l’analisi del bilancio ambientale del “socialismo reale” dovrebbe andare al di là della comprensione del produttivismo burocratico. Abbiamo bisogno di una critica più profonda, che esamini le concezioni teoriche e ideologiche che hanno segnato il socialismo a vari livelli.

Con questo spirito, l’attuale eco-socialista di cui faccio parte, incarnato dal Manifesto eco-socialista elaborato da Michaël Löwy e Joel Kovel [http://www.italia.attac.org/spip/spip.php?article2581], ha identificato un certo numero di queste concezioni che meritano di essere dibattute e revisionate.

  • La scienza, la tecnologia e il progresso

Una prima domanda è quale sia il rapporto con le “Scienze“, o meglio, le scienze – senza una lettera maiuscola. La maggior parte dei pensatori socialisti, a cominciare da Marx ed Engels, sono stati fortemente influenzati da scientismo. In effetti, l’idea meccanicista che le scienze possano spiegare ogni cosa nei minimi dettagli è manifestamente sbagliata, poiché il mondo è in continua evoluzione. Inoltre, la velocità di questa evoluzione aumenta sempre di più grazie alla nostra capacità di studiare oggetti sempre più piccoli, e più le scienze progrediscono, più vengono a confronto con nuovi fenomeni ed enigmi.

Robot

Rompere con lo scientismo è importante per l’eco-socialisti. [ndt nella immagine: Installazioni di robot industriali nel mondo, migliaia. Fonte: The Wall Street Journal] Si tratta di porre fine al progetto dell’uomo di dominare sulla natura, il che implica che la natura è considerata come una macchina e che l’essere umano è visto solo come macchinista. Questo è illusorio, strumentista e il progetto riduzionista si scontra con il principio di precauzione, la modestia e prudenza oggi necessaria se vogliamo riequilibrare gli scambi tra l’uomo e il resto della natura. [ndt rompere con questo scientismo riduzionista, è fondamentale. Nei sistemi viventi complessi questo è ormai ovvio, ma anche nelle scienze dure questo passaggio è già stato fatto già da tempo. Ad esempio in fisica le particelle elementari “democritee” non sono più pensate come mattoni ultimi di strutture più complesse ma come campi che pervadono lo spazio tempo. Inoltre, anche il semplice approccio olistico non è più sufficiente, oggi la natura ci appare come un sistema ben più complesso della somma di parti elementari]

Una seconda domanda, collegata alla prima, è quella legata alla tecnologia, cioè scienze applicate alla produzione. Sono queste neutre o hanno un carattere di classe? Benché insista sulla caratteristica “storicamente determinata” di tutti gli aspetti dello sviluppo umano, Marx non ha risolto questo punto precisione. La maggior parte dei socialisti dopo di lui hanno considerato la tecnologia come neutrale. Gli eco-socialisti pensano che non lo sia. [ndt la tecnologia non è probabilmente neutrale, è il suo uso che non lo è]

Il fine non giustifica i mezzi: alcuni mezzi sono in contrasto con il fine. Questo vale anche
Screen Shot 2015-05-27 at 18.01.26per i mezzi di produzione, e quindi per le tecnologie. L’energia nucleare, per esempio, è in contrasto con obiettivo esplicito di Marx di una società in cui i produttori cercano di migliorare il patrimonio comune della natura di trasmetterlo ai loro discendenti come “boni patres familias”. Lo stesso vale per l’utilizzo dei combustibili fossili, la coltivazione in campi aperti di organismi geneticamente modificati e i progetti di geo-ingegneria su larga scala, per esempio. [ndt non condivido alcuni punti in quanto non esistono prove scientifiche dei danni, ad esempio per gli OGM, ma il punto è valido nei termini di principio di precauzione. Per quanto riguarda il nucleare, ad oggi è ancora l’unica soluzione in termini di potenza (in particolare continua e capace di assicurare il funzionamento di impianti come ospedali e grandi infrastrutture necessarie al benessere della società) per garantire le esigenze di 10-12 miliardi di persone. La speranza è che presto si possa avere la fusione nucleare che eliminerebbe il problema delle scorie, oltre che rendere il nucleare intrinsecamente sicuro. Infine l’ultimo rapporto IAEA dimostra che il nucleare non è affatto finito]

Rompendo con scientismo e criticando le tecnologie si solleva immediatamente la questione dell’atteggiamento da adottare nei confronti dello sviluppo e del progresso. Marx non avere una visione lineare di questo argomento, benché la maggior parte dei marxisti la hanno. Che dire di eco-socialisti? Rifiutano l’idea avanzata da alcuni partigiani della decrescita che invocano l’”uscita dallo sviluppo” perché il progresso è di per sé negativo, ma rifiutano anche l’idea che ogni progresso e ogni sviluppo siano positivi per definizione. Coerente con il loro approccio critico alle tecnologie, appoggiano la tesi di Marx secondo cui il capitalismo sviluppa sempre di più “forze distruttive” piuttosto che le forze produttive.

I paesi sviluppati, a livello globale, non hanno più bisogno di uno sviluppo quantitativo, ma di una condivisione di ricchezze necessaria per uno sviluppo qualitativo. In questo contesto, gli eco-socialisti accordano una grande importanza all’evoluzione dei popoli indigeni e alle conoscenze delle comunità contadine. Vedono in questo, delle fonti di ispirazione per un progresso degno di questo nome. Un progresso che metta in discussione l’ideologia produttivista capitalistica. Un progresso basato sulla comprensione del fatto che la vera ricchezza risiede nel tempo libero, le relazioni umane e un rapporto armonico con l’ambiente e non nell’accumulo compulsivo di beni di consumo che spesso servono solo a compensare la povertà dell’esistenza.

  • Centralizzazione e decentramento

Una quarta questione del dibattito riguarda l’articolazione tra centralizzazione e decentramento. Data l’esperienza storica dell’URSS, il socialismo è molto legato all’idea di un sistema fortemente centralizzato. Non intendo dire che tale piano non sia stato necessario nel 1920, infatti il regime rivoluzionario avrebbe potuto mantenere solo se stesso se la piccolissima classe operaia industriale non avesse sostituito la maggioranza dei contadini con le macchine necessarie per migliorare la vita delle comunità rurali ed eliminare le carestie che erano così frequenti nella storia russa. Ma, l’idea che il socialismo sia sinonimo di centralizzazione, deve essere messa in discussione.

E ‘ovvio che un governo che desideri esercitare una politica anticapitalista debba necessariamente rompere con il potere economico della classe dominante, che ciò è possibile solo attraverso l’espropriazione della finanza e dei principali mezzi di produzione e distribuzione. È anche evidente che questi settori socializzati dovrebbero quindi essere riordinati per soddisfare i bisogni, il che richiede una pianificazione centralizzata. Ma va sottolineato che allo stesso tempo la democrazia e l’autogestione non possono esistere realmente senza essere radicati nella base, localmente. Centralizzazione e decentralizzazione dovrebbero quindi completarsi a vicenda.

Questa articolazione non è assente dal pensiero di Marx: al contrario, egli ha visto nella Comune di Parigi “la forma politica, alla fine trovata, della emancipazione del lavoro”, e questa esperienza lo ha portato a pensare che la “dittatura del proletariato” si potrebbe concretizzare sotto forma di una federazione di comuni. In seguito i marxisti hanno in gran parte perso il filo di questo pensiero. Gli eco-socialisti ripristinano la sua centralità e cercano di rinnovarla, in collegamento con il progetto di un “socialismo per il 21° secolo”.

La sfida dei cambiamenti climatici rende questa riflessione inevitabile: per avere una possibilità di raggiungere in due generazioni, il passaggio a un sistema di energia rinnovabile al 100%, è senza dubbio necessario socializzare il settore energetico. Senza questo passaggio, i capitalisti cercheranno di imporre il più a lungo possibile l’uso delle gigantesche scorte di combustibili fossili che appartengono a loro [ricordiamo che per avere una probabilità del 60% di non superare di 2° C la temperatura del periodo pre-industriale, è necessario che tra i due terzi e i quattro quinti delle riserve dei combustibili fossili non siano mai sfruttati].

[ndt Tanuro speso immagina un mondo possibile alimentato al 100% da energia rinnovabile (si veda l’impossibile capitalismo verde, edito da Allegre). Personalmente da quel che ho studiato, in particolare se non si vogliono violare i principi della termodinamica e più  in generale della fisica, penso che questo non sia possibile, anche se moltissimo si può fare]

Ma il ricorso alle fonti rinnovabili richiede l’interconnessione delle reti energetiche decentralizzate. La loro gestione democratica da parte delle comunità nell’interesse collettivo degli abitanti è una possibilità reale che gli eco-socialisti dovrebbero fare proprie, ponendo domande concrete a livello locale per il controllo e la partecipazione, piuttosto che limitarsi al modello obsoleto della grande impresa nazionalizzata.

  • Eco-socialismo e l’eco-femminismo

Una quinta questione sulla quale gli eco-socialisti lavorano è il ruolo specifico delle donne nella lotta per le relazioni sostenibili tra l’umanità e la natura. Per le femministe attuali, questo ruolo non deriva dal fatto che le donne sono “essenzialmente”ecofemminismo più vicine e più rispettose della natura, come ritengono alcune teoriche eco-femministe. A nostro avviso, non c’è più essenza femminile ecologista di quanta sia l’essenza femminile pacifista, per esempio. Il ruolo specifico delle donne gli è attribuito dalla divisione capitalistica del lavoro all’interno della società e della famiglia borghese. Una delle dimostrazioni della loro oppressione è, infatti, che svolgono la quota maggiore del lavoro come assistenti sociali, il più delle volte sotto forma di servizi gratuiti che non sono socialmente riconosciuti come lavoro. Inoltre, le donne garantiscono globalmente 80% della produzione alimentare mondiale.

Le donne sanno che cosa comporta “prendersi cura degli esseri viventi”. La loro conoscenza in quest’ambito dà loro un ruolo di primo piano nella transizione, perché l’umanità è proprio di fronte alla necessità di “prendersi cura” (del resto) della natura e di gran parte della popolazione – in particolare nel mondo sviluppato e urbanizzato – che in realtà non sa come farlo. Ma questo ruolo delle donne può essere pienamente valorizzato solo nell’interesse di tutti se la loro oppressione è riconosciuta e combattuta. Ciò richiede la lotta per autonomia delle donne per la parità di diritti nella società, l’applicazione di “parità di retribuzione per pari lavoro” sul mercato del lavoro e la condivisione dei compiti domestici. In questo senso, gli eco-socialisti sostengono la lotta eco-femminista.

  • La questione del soggetto

Tenendo in considerazione il ruolo specifico delle donne nasce un’altra questione che vorrei affrontare prima di giungere una conclusione. Per molti aspetti, una questione che è anche decisiva per l’eco-socialismo: quella del “soggetto” nella trasformazione sociale.

Classicamente, i teorici del socialismo considerato che la classe operaia – che è, non solo formata da operai, ma tutti quelli costretti a vendere la propria forza lavoro in cambio di un salario – sia il soggetto che svolge un ruolo primario nella relazione tra la piccola borghesia e tutti gli strati oppressi. Questo ruolo centrale come classe rivoluzionaria deriva dal suo posto nel modo della produzione: essendo la classe più sfruttata, la classe operaia non ha altra prospettiva storica possibile che la gestione collettiva dei mezzi di produzione per soddisfare i bisogni sociali democraticamente determinati.

Pellizza-da-Volpedo-Quarto-Stato-1901-Museo-del-NovecentoQuesta tradizionale analisi ha poi dato origine all’idea che la classe operaia giochi “oggettivamente”, in ogni momento e in ogni luogo, un ruolo di primo piano anche se inconscio. In effetti, la lotta al clima rivela una realtà ben diversa: in prima linea troviamo i contadini, i contadini senza terra, i popoli indigeni e le comunità in lotta contro le estrazioni, la silvicoltura o progetti infrastrutturali che distruggono il loro ambiente, con le donne che giocano un ruolo di primo piano in tutte queste lotte.

Il fatto che gli strati sociali diversi dalla classe operaia in senso stretto abbiano un ruolo di primo piano, non è senza precedenti. I giovani, per esempio, sono spesso statti il detonatore per lotte che, evidenziando una situazione sociale o politica insopportabile, portano la classe operaia ad uscire dalla sua relativa passività. Nel maggio 1968 in Francia, la repressione della “notte delle barricate” nel Quartiere Latino ha portato ad uno sciopero generale di dieci milioni di lavoratori, è un classico esempio di questa interazione tra gli strati e le classi sociali. Ce ne sono molti altri.

Tuttavia, ciò che oggi affrontiamo sul fronte ambientale è diverso e l’immagine del detonatore non permette di coglierne il senso. Un detonatore svolge una funzione temporanea: per attivare l’esplosione. Invece, di fronte al cambiamento climatico, abbiamo assistito per molti anni alle lotte persistenti di contadini, dei popoli indigeni e delle comunità, e queste lotte, fino ad oggi, non hanno fatto esplodere nulla all’interno della classe operaia. Il problema quindi è più profondo. Non si tratta semplicemente di una “discordanza dei tempi”, una mancanza di sintonia tra i ritmi di coscienza delle diverse classi sociali e i livelli [ndt più poveri].

La spiegazione è, infatti, relativamente semplice. Quando i contadini lottano contro agro-business, quando i popoli indigeni lottano contro l’appropriazione delle foreste così come contro pozzi di carbone e le sorgenti di biomassa, quando le comunità combattono contro i progetti estrattivi che distruggono l’ecosistema [ndt letteralmente sistema della vita] e le risorse, queste lotte per obiettivi immediati a favore delle condizioni di esistenza di gruppi interessati coincidono direttamente con quello che deve essere fatto per salvare il clima.

La situazione della classe operaia è molto diversa. In particolare nella situazione attuale, in cui la classe operaia è indebolita, ideologicamente disorientata e spinta a difendersi, le richieste spontanee più immediate necessarie per difendere le proprie condizioni di esistenza non coincidono con quello che deve essere fatto per salvare il clima, ma piuttosto con ciò che la destabilizza. Per creare o salvare posti di lavoro, ad esempio, la maggioranza dei lavoratori spera nell’espansione della produzione, in una ripresa economica del capitalismo, in nuove imprese. Se si tratta chiaramente un’illusione credere che questo riassorbirebbe la disoccupazione, l’illusione resta a prima vista la risposta più logica e la più facile da implementare. In alcuni settori inquinanti minacciati, come nelle miniere di carbone in Polonia, i sindacalisti arrivano al punto di dubitare della realtà data dal cambiamento climatico, perché la vedono come una minaccia ai loro posti di lavoro.

  • La lotta contro la disoccupazione, una questione centrale

Come affrontare questo problema? Gli eco-socialisti tentano di rispondere proponendo ricette che rispondono sia alle esigenze sociali del mondo del lavoro sia ad esigenze ecologiche (in particolare la riduzione drastica e rapida delle emissioni di gas a effetto serra, che è indispensabile per stabilizzare il sistema climatico). Per semplificare, ci distinguiamo sia da quegli ecologisti che pensano che l’impatto sociale delle misure ambientali siano un problema secondario che dai sindacalisti che credono che la priorità è sociale, che l’ambiente è un problema che può essere affrontato in seguito. Queste due strategie ci sembrano condannarci in anticipo.

La lotta contro la disoccupazione è la principale preoccupazione del movimento operaio (e condiziona il livello dei salari, l’organizzazione del lavoro, la difesa dei sistemi di protezione sociale e così via). Gli eco-socialisti pongono l’accento su una risposta generale articolata su tre livelli:

  • L’estensione della non-rilocabilità del pubblico impiego [ndt ho lasciato la traduzione letterale, ma immagino si intenda il fatto che non si possono delegare alcune funzioni che devono rimanere pubbliche] (in particolare attraverso i piani pubblici per riqualificazione energetica degli edifici, la trasformazione del sistema energetico e la sostituzione della egemonia delle macchine da parte di imprese di trasporto pubblico), sottolineando il decentramento e il controllo democratico da parte degli utenti e dei lavoratori ;
  • La riconversione collettiva, sotto il controllo dei lavoratori, dei lavoratori delle industrie inutili o inquinanti (in primo luogo l’industria delle armi e l’industria nucleare, ma anche automobili, prodotti petrolchimici e così via) ad altri settori di attività;
  • La drastica riduzione del tempo di lavoro, senza perdita di retribuzione, assumendo e compensando la riduzione dei ritmi di lavoro, in modo che tutti abbiano un lavoro, vivendo meglio e con meno rifiuti.

Quest’ultima richiesta ci sembra di una grande importanza strategica. Come ha osservato Marx, è sia la migliore richiesta sociale che il modo migliore in cui “l’uomo socializzato, cioè i produttori associati” possono “regolare razionalmente questo proprio scambio organico con la natura” in “modo più conforme alla natura umana”.

disoccupazione-tecnologica-nyt-johnhendrixDi fronte alla disoccupazione, solo un programma di questo tipo è in grado di affrontare la doppia sfida sociale e ambientale, e in particolate quella del cambiamento climatico. La sua attuazione richiede un orientamento anticapitalista e coinvolge altre richieste che non voglio dettagliare in questa sede: l’espropriazione dei settori dell’energia e della finanza – condizione sine qua non di questa transizione – e una politica a lungo termine che favorisca lo sviluppo dell’occupazione rurale locale nell’agricoltura biologica e la manutenzione degli ecosistemi.

Questo programma può solo diventare più influente nel movimento operaio se si articola con le lotte di una sinistra combattiva contro gli apparati dominati del neoliberalismo sociale o altre correnti burocratiche. La prospettiva di tali apparati consiste generalmente nel sostenere la transizione energetica come concepita dal capitalismo (una transizione che non risponde affatto l’obiettivo della sostenibilità, troppo lento e che coinvolge un massiccio ricorso al nucleare, a gli agro-carburanti e alla cattura e sequestro del carbonio) chiedendo “solo” che tale transizione avvenga [un chiaro esempio di questo è la scelta della maggior parte delle organizzazioni sindacali francesi di non opporsi alla rete di nucleare]. È per questo che gli eco-socialisti incoraggiano i movimenti contadini, le comunità popolazioni indigene per costruire un legame e per cercare convergenze dentro i sindacati di sinistra.

Per uscire dal generico e avanzare un programma di proposte concrete argomentate per la transizione sociale ed energetica, ad esempio, a livello europeo, costituisce a mio avviso la più grande sfida che gli eco-socialisti dovrebbero cercare di affrontare. Il compito è tanto più arduo in quanto non è sufficiente sostituire i combustibili fossili con fonti di energia rinnovabili: data l’impronta che per 30 anni i governi si trascinano, le emissioni di gas serra dovrebbero essere ridotte così fortemente e così rapidamente che non può più essere fatto senza ridurre la produzione e i trasporti [gli scenari di transizione verso un sistema di fonti rinnovabili 100% che dichiara di essere compatibili con il mantenimento di un tasso di crescita del 2-3% all’anno non tiene conto dei combustibili fossili necessari per la produzione della riconversione alle rinnovabili e il lavoro per il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici, e le emissioni che derivano da questo]. Tutti capiscono che questo vincolo complica ulteriormente la risposta eco-socialista alla sfida dell’occupazione.

  • Eco-socialismo, un concetto aperto

comunisti-uniti2L’eco-socialismo può essere riassunto nella volontà di far convergere le lotte sociali e ambientali sulla base della comprensione che l’austerità e la distruzione ecologica sono due facce della stessa medaglia: il capitalismo produttivista. Detto ciò, l’eco-socialismo è un concetto aperto, suscettibile di diverse declinazioni strategiche e programmatiche. Quindi ci sono oggi diverse varietà di eco-socialismo. La varietà che ho presentato a voi potrebbe essere definita come quella marxista rivoluzionaria, femminista e internazionalista. Ce ne sono altre e noi non ne reclamiamo il monopolio, solo il più ampio dibattito possibile.

Informazioni su Giovanni Mazzitelli

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2 risposte a Eco Socialismo

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